mercoledì 30 ottobre 2013

une philosophie doit être portative!


Con il passare del tempo alcune cose si dimenticano, o forse succede semplicemente che ci si lascia sopraffare dalle "cose" e non si da più spazio a quanto prima sembrava imprescindibile!
Non so se a voi è mai successo, ma per me è così: quanta saggezza svanita e quante promesse evaporate! Un pò perché vado di corsa, un pò perché rimando a domani, un pò perché sono innegabilmente una pasticciona, fino a qualche anno fa oltre a pensare (per saggio suggerimento): une philosophie doit être portative!, mi lasciavo incoraggiare da una massima che mi ha salvato in più di un'occasine: il mondo è tecnica. 
Così pretendevo da me costanza e precisione. 
E ora? Bhé, se pensiamo che arrivo anche a confondere il naso da pulire ( a Cecilia cola e io pulisco quello di Leone...), forse qualcosa è andato storto. Mi dico, per giustificarmi, che probabilmente è solo una questione di tempo, di tempo che uno sa dedicare alle cose... E mi metto a cercarlo... nella tecnica.
Così mi ritrovo per caso a riprendere con serietà questa traccia: tecnica, impegno, strumenti adatti... E così ho scoperto i COLORI ACRILICI, dopo saggio consiglio di un'esperta. 
Un mondo si sta aprendo... coloro, impasto, pennello, spennello, timbro e...che precisione. 
Signori miei: che tecnica! Sempre accompagnata da quella spolverata di improvvisazione che comunque resta il mio marchio di fabbrica...
Qui le foto di una camicia omaggio al mio amato calciatore in erba che, con testarda costanza, insegue sempre il pallone... che si porti così sempre il suo pensiero amico con se!


venerdì 18 ottobre 2013

Viva la leggerezza!



È bene ritrovare in noi gli amori

perduti, conciliare in noi l'offesa;
ma se la vita all'interno ti pesa
tu la porti al di fuori.

Spalanchi le finestre o scendi tu
tra la folla: vedrai che basta poco
a rallegrarti: un animale, un gioco
o, vestito di blu,
un garzone con una carriola,
che a gran voce si tien la strada aperta,
e se appena in discesa trova un'erta
non corre più, ma vola.

La gente che per via a quell'ora è tanta
non tace, dopo che indietro si tira.
Egli più grande fa il fracasso e l'ira,


più si dimena e canta.

lunedì 14 ottobre 2013

seduta sul mio albero racconto...

Negli ultimi giorni mi è capitato spesso di discutere di infanzia, la mia infanzia anche. Così mi sono accorta che ne parlo spesso  anche con i miei bambini… perché?
Credo, anzitutto, che rinfrescare le mie memorie sia un modo utile per sentirmi più prossima a loro: divento piccolina-piccolina e, dopo la solita formula: «vi racconto una storiella di mamma quand’era piccolina?», davanti ai loro occhi stupiti, comincio…
Racconto i miei ricordi, imbrogliati e confusi: un pianoforte che non potevamo toccare, una cucina grande con il fuoco sempre acceso,  una credenza piena di pasta, i piccioni fuori la finestra, il marmo a terra e gli stucchi ai soffitti, le partite di calcio ascoltate alla radio, i conigli e le galline fuori al terrazzo, un gatto simpatico, un canarino giallo e una tartaruga di nome Sofia... Ma soprattutto mi sono accorta che racconto di  nonna Tata, immacolata e sempre elegante anche nella sua vecchiaia e di nonna Coccò , che ci dava  le uova fresche e noi credevamo che le facesse lei (per questo non la chiamavamo mai Maria), tanto presenti quando ero piccolina.
E così penso, ripercorrendo per gioco a ritroso la mia storia, quanto siano importanti per me le radici che mi tengono in piedi: nonna Tata, nonna Coccò, zia Rosaria, nonno Egidio, nonno Achille… le mie origini: un trampolino di volo dentro la vita.
Forse ho fatto, nel tempo, poche domande, per esplorare le strade alle mie spalle e capire veramente chi fossero i miei nonni, per non parlare dei miei bisnonni.
Vorrei che i miei bambini non solo sapessero com’era la loro mamma piccolina ma conoscessero anche un po’ della sua storia…
Penso che le nostre origini ci dicano chi siamo, ci diano gli strumenti per capire e ci aiutino a scegliere una direzione da prendere, per noi e per chi verrà dopo.

Forse è per questo che mi racconto piccolina ai miei bambini e mi rammarico di non sapere molte altre cose che potrei raccontargli…

giovedì 10 ottobre 2013

... unti i polpastrelli

 Un pò di parole in prestito:
… Non dico che abborriamo tutto quello che luccica; è tuttavia evidente che preferiamo, alle tonalità chiare, fredde e scintillanti, quelle un po’offuscate, e caliginose. Nella pietra preziosa come nel vasellame, ci piacciono quei riflessi profondi e velati che sono inseparabili dalla patina del tempo. 
Fuor d’eufemismo, questa cosiddetta patina altro non è che sudiciume accumulato nel corso dei secoli. Lustro delle mani la chiamano i Cinesi; noi Giapponesi la chiamiamo (con espressione analoga) nare. È lo sporco e l’untume di cui gli oggetti, toccati e accarezzati da molte mani, finiscono per impregnarsi con il passare degli anni. […] per essere veramente eleganti […] è necessario non temere la sporcizia. Spesso il pregio degli oggetti che chiamiamo belli e raffinati è costituito, almeno in parte, da una certa sordidezza, e da un certo grassume. Se dicessi che gli Occidentali fanno di tutto per asportare lo sporco dalla superficie degli oggetti, e che gli Orientali lo conservano con cura, come il più prezioso dei cosmetici, si penserebbe che intendo stupire con un’affermazione paradossale. Ma in essa v’è più di un grano di verità. Prediligiamo la patina del tempo, ben sapendo che è prodotta da mani sudate, da polpastrelli unti, da depositi di morte stagioni; la prediligiamo per quel lustro, e quegli scurimenti, che ci ricordano il passato, e la vastità del tempo. Vivere fra oggetti bruniti, e in una casa antica, ci trasmette un senso di pace profonda, e inesplicabilmente ci calma …            
Jun’ichiro Tanizaki, Libro d’ombra

un pò di disegni nostri:

 

sabato 5 ottobre 2013

Ottimo massimo



Ricordate il Barone Rampante? 
Cosimo Piovasco di Rondò... con un nome così semplice e poco impegnativo come non potevo perdere la testa per lui.
Credo sia stata una delle mie prime cotte letterarie! 
Cosimo non subisce le regole dell’etichetta alle quali dovrebbe attenersi e, senza farvela troppo lunga, con una testutaggine che mi ricorda qualcosa con cui ho spesso a che fare, decide di trasferirsi a vivere per sempre sugli alberi. Forte e rapido, si sposta da un albero all’altro con la leggerezza di un soffio, veste indumenti fatti da lui a seconda della necessità e la sua casa è una capanna (ovviamente sospesa tra gli alberi), che perfeziona giorno dopo giorno per renderla sempre più confortevole. 
Semplicemente fantastico!
Chi di voi non ha sognato di vivere su di un albero? Chi di voi da bambino non ha cercato di costruire una capanna in cui passare i propri momenti di segreto divertimento? 
Bhè: io l'ho fatto! E mi piaceva da matti... 
La mia purtroppo non era accogliente e bella come quella del barone (per questo forse ho da grande studiato architettura...) ma era la MIA capanna!
E dentro, ovviamente, mi faceva compagnia il fido Ottimo Massimo (da allora per me tutti i bassotti sono Ottimo Massimo!), che purtroppo era di pezza e non di pelo e non ha mai condotto da me l'amata Viola (né tantomeno quel bel brunetto che abitava nella casa accanto a quella in cui stavamo noi al mare d'estate!). Ho aspettato a lungo il barone rampante, forte e fragile, leggero e con le idee chiare. Ma Cosimo è anche, anche per questo, testardo e irremovibile come, ahimè, gli uomini che a piacciono a me... e così, quasi vent'anni dopo la prima cotta, il mio principe azzurro ha la stessa testa dura. 
Dov'è la casa sull'albero e soprattutto: Ottimo dove sei?
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